Sindrome autistica causata da delezione di TSHZ3

 

 

NICOLE CARDON

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 01 ottobre 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 TSHZ3, che codifica un fattore di trascrizione zinc finger, è stato recentemente riconosciuto come gene hub in un modulo di geni con la più alta espressione nella neocorteccia umana, ma la sua funzione fino a questi studi è rimasta ignota.

Caubit e una lunga schiera di colleghi facenti capo a 15 diversi istituti scientifici di Francia, USA, Svezia, Germania e Regno Unito, hanno scoperto un legame di questo gene con lo sviluppo di un disturbo con le caratteristiche comportamentali principali di quello autistico, e con alterazioni dei neuroni di proiezione della corteccia cerebrale simili a quelle riportate in modelli di sindromi dello spettro dell’autismo.

(Caubit X., et al., Locus coeruleus and dopaminergic consolidation of everyday memory. Nature Genetics – Epub ahead of print Sep 26 doi: 10.1038/ng.3681, 2016).

Dei 15 istituti di provenienza degli autori si citano i seguenti: Aix-Marseille University, CNRS, IBDM; INSERM, GMGF, Marseille (Francia); Department of Neuroscience, Yale School of Medicine, New Haven, Connecticut (USA); Division of Genetics and Genome Medicine (Department of Pediatrics), Washington University School of Medicine, St Louis, Missouri (USA); Clinical Genetics Unit, Karolinska University Hospital Solna, Stockholm (Svezia); Institute of Cell Biology and Neurobiology, Center for Anatomy, Charité University Hospital Berlin, Berlin (Germany).

Per introdursi ai disturbi dello spettro dell’autismo e per le più recenti acquisizioni della ricerca in questo campo, si consiglia la lettura del nostro recente articolo Il fascicolo uncinato di sinistra nel disturbo autistico (in “Note e Notizie” 17-09-16), dal quale estraiamo il seguente brano: “Dal 1943, quando Leo Kanner impiegò per la prima volta il termine autismo[1] per riferirsi ai deficit sociali ed emotivi di 11 bambini (early infantile autism)[2], la concezione del disturbo autistico e più in generale delle sindromi dello spettro dell’autismo[3] si è notevolmente evoluta e, sebbene si sia conservata l’attenzione per le manifestazioni della prima descrizione, una particolare focalizzazione ha riguardato il difetto di sviluppo delle abilità di comunicazione verbale.

I criteri diagnostici maggiormente seguiti in tutto il mondo, ossia quelli dell’ICD e del DSM, si basano su una triade di difetti:

a) problemi evolutivi nella sfera della comunicazione;

b) gravi e persistenti deficit di rapporto interpersonale e interazione sociale;

c) presenza di attività e comportamenti ripetitivi, rigidi e stereotipati.

Il modo in cui la diagnosi viene attualmente posta negli USA e in molti paesi europei, incluso il nostro, ha portato ad una estensione ampia che include bambini con “condotte simil-autistiche”, in passato considerate primariamente in rapporto al profilo di ritardo di sviluppo nelle varie linee neuroevolutive. […]

… sebbene si consideri quella dell’autismo una categoria diagnostica, i dati emergenti dagli studi genetici e dalla complessità fenotipica supportano più un approccio dimensionale che categoriale[4].

Già nel 1971 è stato osservato da Wing e Wing che le alterazioni che compongono nel loro insieme il quadro autistico possono variare per gravità indipendentemente l’una dall’altra e presentarsi isolatamente in numerose condizioni cliniche dell’infanzia[5]. Nel 1996 McBride e colleghi, dopo l’esame dettagliato di un’ampia casistica, raccomandavano uno studio analitico accurato delle singole manifestazioni come domini di funzione/disfunzione del sistema nervoso centrale e proponevano questa previsione: “…i progressi verranno da un’accurata descrizione e misurazione, e da approfondite considerazioni delle interazioni fra i domini”[6]. La difficoltà di concepire e sviluppare progetti di ricerca, soprattutto in campo genetico, sulle basi biologiche di singoli domini comportamentali ha fatto sì che l’approccio della ricerca basato sulla diagnosi categoriale sia stato conservato anche nel terzo millennio, a dispetto delle numerose evidenze sui limiti di questo approccio[7].

Nel 2007 Gupta e State si sono espressi così: “Se l’autismo non è una singola entità ma un insieme di fenotipi sovrapponibili risultanti dall’azione combinata di molti alleli di rischio, sembra logico che un approccio che scomponga la presentazione clinica in componenti biologicamente rilevanti possa essere più efficace di uno che si basi su diagnosi categoriali”[8].”[9].

Tanto premesso, in relazione all’effetto causato dall’eliminazione di TSHZ3, si forniscono alcune nozioni circa il motivo zinc finger che caratterizza la struttura molecolare del fattore di trascrizione codificato da questo gene cardine.

I motivi a “dito di zinco” (zinc finger) sono specifiche regioni proteiche in grado di legare il DNA. Le cosiddette “dita di zinco”, dalla traduzione italiana letterale, possono essere definite come strutture molecolari con un ruolo importante nel riconoscimento del DNA, scoperte grazie agli studi sul fattore di trascrizione TFIIIA delle uova di rana e caratterizzate dalla presenza di un atomo di zinco[10]. Ricordiamo che lo Zn è un metallo di transizione con atomo a struttura cristallina esagonale, anfotero con peso atomico 65,409.

Le proteine in cui si riconoscono motivi zinc finger hanno un tratto di struttura ad alfa-elica che si inserisce nel solco maggiore del DNA, interagendo con le sue basi azotate. Dalla superficie dell’elica emergono due residui di istidina, che si raccordano mediante due legami di coordinazione allo zinco, il quale consente la stabile collocazione dell’elica all’interno del solco maggiore mediante la formazione, dall’altra parte, di legami di coordinazione con residui di cisteina emergenti sulla superficie di un tratto costituito da due foglietti beta antiparalleli. Spesso i motivi zinc finger sono collegati l’uno all’altro grazie ad interazioni testa-coda, che accrescono la quantità di DNA riconosciuto e rafforzano l’interazione con l’acido nucleico.

L’ottimo lavoro di Caubit e i suoi numerosi colleghi ha portato all’identificazione di TSHZ3 quale regione critica per lo sviluppo di una sindrome associata alla delezione eterozigote in corrispondenza di 19q12-q13.11 e caratterizzata da manifestazioni comportamentali tipiche dei disturbi dello spettro dell’autismo.

L’osservazione sperimentale ha fatto registrare che, nei topi a genotipo Tshz3-null, i geni espressi differenzialmente includono markers di neuroni corticali di proiezione specifici per strato della corteccia; dato molto significativo, se si tiene conto del fatto che gli ortologhi umani di tali geni sono fortemente associati ai disturbi dello spettro dell’autismo.

Rilevanti anche le osservazioni nei topi eterozigoti per Tshz3. Nei roditori con questo genotipo sono state rilevate alterazioni funzionali in corrispondenza delle sinapsi formate dai neuroni di proiezione della corteccia e, in termini comportamentali, si è registrato un nucleo di manifestazioni che ricordano i sintomi dell’autismo.

Tutto quanto emerso da questo studio evidenzia ruoli essenziali di Tshz3 nello sviluppo e nelle funzioni dei neuroni di proiezione della corteccia cerebrale; dalle alterazioni di queste importanti cellule nervose corticali possono originare le manifestazioni di tipo autistico della sindrome da delezione di TSHZ3 di nuova definizione.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza ed invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Nicole Cardon

BM&L-01 ottobre 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Ricordiamo che nella semeiotica psichiatrica dell’adulto il termine si riferisce al funzionamento mentale autoreferenziale tipico di varie forme di psicosi e, in particolare, della schizofrenia. Tipicamente nel Novecento si distingueva fra un autismo ricco (produttivo, con soliloquio rivolto a un interlocutore interno) e un autismo povero (esclusivamente ideativo) secondo Minkowski.

[2] Tutti di sesso maschile.

[3] Includono il disturbo autistico propriamente detto, la sindrome di Asperger (attualmente esclusa dal DSM-5) e il disturbo pervasivo dello sviluppo infantile non altrimenti specificato (autismo atipico); a questi si accostano spesso il disturbo disintegrativo dell’infanzia e la sindrome di Rett.

[4] George M. Anderson dedica a questo argomento un paragrafo del capitolo The Neurochemistry of Autism in Basic Neurochemistry (Brady, Siegel, Albers, Price), p. 1013, AP Elsevier, 2012.

[5] Wing L. & Wing J. K., Journal of Autism & Childhood Schizophrenia 1: 256-266, 1971.

[6] Mc Bride P. A., et al., Archives of General Psychiatry 53: 980-983, 1996.

[7] Scolasticamente l’errore è evidente: la mancanza di coesione intrinseca fra le componenti impedisce al loro insieme di costituire un singolo e definito oggetto sperimentale del quale si cercano le cause.

[8] Gupta A. R. & State M. W., Recent advances in the genetics of autism. Biological Psychiatry 61: 429-437, 2007. A chi voglia approfondire l’argomento si suggerisce l’interessante discussione di Francesca Happé e colleghi in una rassegna diventata ormai un riferimento imprescindibile in questo campo: Happé F., et al. Time to give up on a single explanation for autism. Nature Neuroscience 9, 1218-1220, 2006.

[9] Note e Notizie 17-09-16 Il fascicolo uncinato di sinistra nel disturbo autistico.

[10] La presenza di due atomi di Zn catterizza, invece, i motivi zinc cluster.